23 Ottobre 2009
Ecco le storture del mercato cerealicolo

La scorsa settimana avevamo scritto delle gravi difficoltà dei cerealicoltori astigiani, soffocati da alti costi di produzione e da un mercato sempre più deprimente. Mentre nel mondo si muore ancora di fame e ci sarebbe bisogno di imprese agricole efficienti, il rischio imminente è la bancarotta di molti agricoltori sempre più assillati dal far quadrare dei bilanci da troppo tempo in rosso. Una situazione ormai insostenibile, con risvolti sociali molto importanti, su cui occorre intervenire prima che sia troppo tardi.
Torniamo dunque sull’argomento e lo facciamo anche grazie alla Confederazione nazionale Coldiretti che analizzando la congiuntura internazionale ha proposto una riflessione nell’ambito del mercato cerealicolo italiano da dove sono emerse tre storture fondamentali che condizionano fortemente i prezzi alla produzione:
- la mancanza di norme che regolino il mercato mondiale (etichettatura di origine obbligatoria, tracciabilità delle produzioni);
- le importazioni speculative;
- il divario dei prezzi corrisposti alla produzione rispetto al consumo.
Per meglio comprendere il nuovo scenario mercantile è necessario rispolverare la memoria storica in materia di Politica Agricola Comune che comunque governa le strategie economico-finanziarie del settore. Fino al 1992, quando vigeva il regime del sostegno dei prezzi, il mercato cerealicolo era regolato dall’intervento pubblico, con scarsa, o inesistente capacità di contrattazione da parte delle imprese agricole, con il prezzo di mercato che si collocava ad un livello di poco superiore al prezzo d’intervento (tra le 400-500.000 £/ton per il grano duro segmento strategico nei seminativi).
Con la riforma Mac Sharry (nel 1992) venne introdotto il regime di compensazione al reddito del produttore attraverso un aiuto di base, modulato sulla superficie aziendale. Nelle zone tradizionali di grano duro, inoltre, per assicurare la continuità produttiva, venne istituito un aiuto supplementare per ettaro di superficie coltivata.
Il sistema induceva il produttore a coltivare solo in funzione dell’aiuto, senza possibilità di alternative colturali economicamente valide in un contesto nel quale solo l’industria veniva garantita e approvvigionata. Inoltre, la stessa Pac  allineava i prezzi delle produzioni nazionali alle quotazioni internazionali, dimezzando di fatto il prezzo di mercato del grano, che si è quindi attestato per anni su una quotazione di 130 – 140 €/ton.
In un periodo nel quale veniva dimezzato il costo della materia prima non sono state mai apportate riduzioni di prezzi al consumo di pane e pasta che pure potevano essere fisiologiche. Non solo, nel tempo la forbice si è ulteriormente allargata tra prezzi corrisposti alla produzione e quelli fissati al consumo, tant’è che oggi il ricarico tra grano duro e pasta è del 400%, grano tenero e pane del 1828%.
Nel tessuto produttivo, invece, il confronto con il mercato globale ha generato una riduzione progressiva dei margini economici delle imprese, un aumento costante dei costi dei fattori della produzione, mai compensati dall’industria acquirente in termini di valorizzazione del prodotto.
Questo era lo scenario fino alla riforma Fischer, dove finalmente, con l’introduzione del regime disaccoppiato, il produttore è tornato ad essere protagonista in termini contrattuali, orientando le proprie scelte colturali aziendali compatibilmente con le nuove dinamiche mercantili.
La nuova congiuntura, dopo il periodo anomalo 2007- primi mesi 2008, ha riprodotto uno scenario inaffidabile e talvolta non rispondente alla realtà in materia di quotazioni, nonostante l’offerta sia buona in termini qualitativi. Certo, rispetto al 2007 il clima mercantile è totalmente diverso, le importazioni, commissionate dall’industria di trasformazione, già prima delle nostre campagne di raccolta, risultavano essere azioni speculative che nel tempo, peraltro assai breve, hanno contribuito ad intasare l’offerta e a contrarre i prezzi di mercato.
L’industria italiana ha sempre importato cospicue quantità dal Canada (1,5-2 milioni di tonnellate annue) giustificandone la complementarietà per miscelare i grani nazionali, tuttavia da qualche tempo si è aperto un nuovo canale dal Messico in chiave strettamente speculativa, concentrato in particolari periodi dell’anno, funzionale ad abbattere solo il prezzo del mercato nazionale. In sostanza si tratta di un quantitativo di 2-300 mila tonnellate, che destabilizza il mercato e determina una sostanziosa contrazione del prezzo italiano su una massa di 3-3,5 milioni di tonnellate.
C’è da tener presente inoltre che l’attività borsistica delle Camere di Commercio, se non favorisce, agevola il fenomeno speculativo attraverso la scarsa trasparenza nella formazione del prezzo, oppure apportando variazioni nelle quotazioni in assenza di compravendite o per contratti di scarsa rilevanza economica, che rende necessario ed urgente il riordino di tutta la materia.
Non c’è da stupirsi se la Commissione Ue, preso atto della situazione a dir poco anomala, in questi giorni abbia introdotto dazi specifici sull’import di grano duro. Dazi naturalmente contestati dall’industria italiana che ritiene poco significative le borse internazionali unitamente al costo dei noli presi a riferimento. Deve essere difficile digerire le decisioni comunitarie per chi è solito imporre e governare le stesse storture sul mercato nazionale.
Questa oggi è la nostra controparte, che ha costruito il “Made in Italy” attraverso il contributo determinante dei nostri coltivatori, che non vuole l’etichetta d’origine per poter disporre di derrate agricole di dubbia provenienza e che non ha mai digerito la riforma Pac in termini di disaccoppiato perché contava ancora di speculare sulle risorse dei produttori. Da questo contesto e dalla inaffidabilità degli interlocutori acquirenti scaturisce la necessità di definire un progetto innovativo governato direttamente dal produttore, contestualmente occorre incentivare gli sforzi per rendere obbligatoria l’indicazione dell’origine in etichetta e difendere il vero “Made in Italy”.

 

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